Con i versi di una ballata, che a stento riescono a contenere l’impeto affabulatorio, Friedrich Dürrenmatt, come già nella "Morte della Pizia", si inoltra sul terreno del mito. Il suo minotauro, creatura terrifica e insieme innocente, imprigionato in un labirinto che è un intricato gioco di specchi, si dibatte alla ricerca di una via d’uscita, in primo luogo da se stesso. E nel turbine di immagini in cui il mostro si perde, e si scopre, il mito rifulge di nuova luce.
Questo è il viaggio coraggioso di una viandante fra due mondi, una giovane turca che vuol fare l’attrice e non trova altro modo, per pagarsi la scuola di recitazione, che emigrare in Germania. È vergine, sprovveduta, non sa una parola di tedesco, ma è curiosa, caparbia, intelligente e decisa a farcela. La sua storia, intensa, dolcissima, divertente, è l’arguto racconto di una ragazza che rifiuta di mettere la testa a posto, della sua passione per il teatro, il cinema, la poesia, la politica, di un periodo incredibile vissuto tra Berlino e Istanbul alla fine degli anni sessanta. Attingendo a una grammatica tutta interiore, che scardina le regole per dar vita a un idioma speciale, potentemente suggestivo e cadenzato, Emine Sevgi Özdamar compone nella sua nuova lingua madre, il tedesco, un vero e proprio inno alla tolleranza. Costruendo quel ponte ideale che unisce culture tra loro distanti, quella occidentale e quella orientale, l’autrice sottolinea il privilegio di poter contare su due lingue e due paesi, perché «due lingue sono due persone».
Lorsque, a seize ans, le jeune Karl Rossmann, que ses pauvres parents
envoyaient en exil parce qu'une bonne l'avait séduit et rendu pere, entra dans
le port de New York sur le bateau déja plus lent, la statue de fla Liberté,
qu'il observait depuis longtemps lui apparut dans un sursaut de lumieres. On
eut dit que le bras qui brandissait l'épée s'était levé a l'instant meme, et
l'air libre soufflait autour de ce grand corps...